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Donazioni fatte in vita e ripercussioni sull’eredità

Ti trovi qui: Home / Famiglia / Donazioni fatte in vita e ripercussioni sull’eredità

21 Dicembre 2017 //  by Simone Falusi//  Lascia un commento

donazioni e successioniHo scoperto a distanza di circa 4 mesi che mio padre ha donato dei mobili tenuti in magazzino.
Può farlo senza il consenso dei componenti della famiglia? In che modo potrei riprendermi questi beni? e in che modo posso tutelarmi per fare in modo che ciò non accada un altra volta?

La donazione è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte (che si indica come donante) arricchisce l’altra (donatario), disponendo a favore di questa di un diritto proprio, presente nel patrimonio, o assumendo verso la stessa una obbligazione. In pratica è un atto con cui si regale qualcosa.

Caratteristiche della donazione sono dunque il carattere definitivo e l’assenza di un corrispettivo. Aspetti questi che rendono la donazione un atto potenzialmente rischioso.

Un altro aspetto di rischio è dato dal fatto che la donazione è un atto che anticipa la successione del donante.

A quest’ultimo riguardo bisogna ricordare alcuni principi chiave che nel nostro ordinamento giuridico regolano le successioni per causa di morte: ci riferiamo al fatto che  non è consentito a nessuno di noi di disporre come meglio crede dei proprio beni per il tempo in cui sarà morto, almeno in certe circostanze.

Infatti, la legge riserva sempre ai più stretti congiunti del defunto (ovvero al coniuge ai discendenti e agli ascendenti, detti anche “eredi necessari” o “legittimari”) una parte significativa dell’asse ereditario. E questa riserva opera anche contro l’eventuale contraria volontà del soggetto defunto.



Il defunto, quindi,  non può intaccare la quota di asse ereditario necessariamente riservata ai legittimati durante la sua vita, né con donazioni, né con la redazione di un testamento, nel quale i congiunti più stretti siano dimenticati o addirittura diseredati. Si parla in questo caso di successione necessaria.

Tutto ciò vuol dire che in presenza di coniuge, figli e, in assenza di questi, di ascendenti, a loro spetta necessariamente una quota dei beni del defunto, quota che nemmeno quest’ultimo può decidere di sottrarre loro.

Più in particolare:

  •  al coniuge è riservata la metà del patrimonio del defunto; se però il coniuge con correre con un figlio a ciascuno di essi è riservato un 1/3 dell’eredità; se oltre al coniuge concorrono più figli: 1/4 spetta al coniuge come quota di legittima, e 2/4 ai figli come quota di legittima.
  • ai figli (o eventualmente ai loro discendenti), invece, sono riservati, a seconda che essi siano uno o più di uno, 1/2 o 2/3 del patrimonio;
  • in mancanza di figli, un 1/3 dell’eredità è riservata agli ascendenti. Tale quota è ridotta a un quarto se gli ascendenti concorrono con il coniuge.

La successione necessaria quindi costituisce un limite alla volontà espressa dal disponente non solo con il testamento ma anche con le donazioni fatte in vita.

L’intento della legge è quello di tutelare quei soggetti che hanno avuto con il defunto rapporti di stretta familiarità, impedendo che, con donazioni o disposizioni testamentarie, il de cuius possa preferire altri, ledendo le aspettative dei suoi congiunti più stretti.

Le donazioni, quindi, costituiscono un’anticipazione della successione.

La legge prevede infatti che se il de cuius (cioè la persona ormai defunta della cui successione si parla) quando era in vita ha fatto donazione ai figli, ai loro discendenti, o al coniuge, al momento della divisione ereditaria questi beni devono essere compresi nell’attivo del patrimonio ereditario per essere divisi tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote; l’atto di conferire i beni donati nella massa ereditaria si chiama collazione. Si presume che il defunto, facendo le donazioni abbia voluto dare ai donatari un anticipo sulla futura successione.

Inoltre, per tutelare i diritti degli eredi necessari, la legge prevede la possibilità di impugnare non solo le disposizione dell’eventuale testamento lesive, ma anche le donazioni fatte in vita dal defunto se queste sono lesive della quota di eredità a loro riservata.

Lo strumento con cui i legittimari possono impugnare le donazione è costituito da una azione giudiziale che si chiama azione di riduzione e può essere proposta entro il termine di 10 anni dalla data di apertura della successione (quindi entro 10 anni dalla data di morte della persona della cui eredità si tratta).

Pertanto, una donazione lesiva può essere impugnata fino a che non siano decorsi dieci anni dalla morte del donante. Si tenga poi presente che le donazioni effettuate in vita dal defunto si possono ridurre solo se il legittimario escluso o leso non trova di che soddisfare il suo diritto su quanto il defunto ha lasciato alla sua morte.

Con particolare riferimenti alle donazioni che riguardano i beni immobili il legittimario farà bene ad effettuare  l’atto stragiudiziale di opposizione alla donazione (previsto dall’art. 563 c.c.): si tratta di un atto, il cui effetto è quello di impedire, dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, la perdita dell’azione di riduzione nei confronti dei terzi che hanno acquistato dal donatario.

Quando si esercita l’azione di riduzione, innanzitutto si riducono le disposizioni testamentarie proporzionalmente (tranne diversa volontà del testatore), successivamente si riducono le donazioni partendo dall’ultima che ha provocato la lesione e via via risalendo a quelle precedenti.

Un volta ottenuta dal Tribunale la pronuncia di riduzione della donazione, il donatario sarà tenuto a restituire all’erede leso quanto ricevuto dal defunto qua(in tutto o in parte fino alla ricostituzione della quota di eredità riservata all’erede necessario).

>>> Per richiedere una consulenza su questo argomento clicca qui.

Categoria: Famiglia, SuccessioniTag: donazioni, successione ereditaria

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