Sono in procinto di vendere una villetta a schiera il cui vicino confinante è una famiglia di sud americani molto rumorosi. 3Circa un anno fa è stato fatto un esposto firmato da una decina di famiglie, in pratica tutto il vicinato, per rumori molesti e schiamazzi sia diurni che notturni, anche se limitati al weekend e non sempre. Destinatari il sindaco i Carabinieri e i Vigili Urbani. Successivamente sembra che si siano un po calmati, ma in occasione di compleanni e quant’altro le feste con musica ad alto volume si ripetono.
Ora vengo alla domanda: io ho detto all’agenzia che i vicini sono rumorosi, ma non ho menzionato l’esposto fatto, anche perché nel frattempo i vicini erano tranquilli, quindi il mio dubbio è cosa è giusto fare o dire all’acquirente : spiegare cosa e successo rischiando di perdere la vendita oppure starmene zitto. In questo caso sono sanzionabile? Cosa prevede la normativa a tutela mia o del compratore?
Grazie
Giancarlo
La questione da prendere in considerazione, più che l’esposto in sé e per sé, è il fatto dei rumori molesti provocati dai vicini di casa e se questa circostanza – taciuta all’acquirente – possa comportare una tua responsabilità nei confronti di chi acquista la casa ed in quella casa non riesce a viverci a causa dei vicini.
Cominciamo con il dire che il codice civile prevede una specifica tutela contro questo tipo di molestie: si tratta dell’art. 844 c.c.. il quale stabilisce che “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano
la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.
Già dal modo in cui la norma è stata formulata (“il proprietario di un fondo non puo’ impedire le immissioni ….. se non superano la normale tollerabilità…“) si può intuire che il legislatore ha cercato di conciliare e contemperare interessi diversi: ovvero quelli della proprietà con quelli dell’industria, obbligando il proprietario, in talune circostanze, a subire le immissioni altrui (“Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà“)
Quindi, in base all’art. 844 c.c. le immissioni provenienti dal vicino sono consentite e, quindi, devono essere tollerate almeno entro certi limiti, e cioè fino a quando non “superino la normale tollerabilità”.
E’ facile comprendere a questo punto che per capire se è possibile o meno contrastare le immissioni di rumore è di fondamentale importanza chiarire il concetto di “normale tollerabilità”. Quando le immissioni di rumore possono essere ritenute intollerabili?
Va detto subito che la legge non definisce il concetto di immissioni che «superano la normale tollerabilità», e tale indeterminatezza contribuisce a rendere questa norma una “norma aperta”: spetta quindi al giudice valutare caso per caso, quando l’immissione deve ritenersi intollerabile o meno.
Si ritiene in genere che la tollerabilità delle immissioni non vada desunta dalla normalità dell’attività che la origina, ma dagli effetti che produce nei vicini, in relazione alle specifiche condizioni ambientali di tempo e di luogo, come lo stesso codice suggerisce, quando affida al prudente apprezzamento del giudice la valutazione dello stato del fondo che le subisce.
Solitamente si ritiene che per valutare lo stato dei luoghi non conta solo la destinazione topografica, naturalistica o urbanistica del singolo appezzamento, ma è necessario tener conto anche delle attività normalmente svolte nella zona in cui si trova il fondo; del sistema di vita e delle abitudini della popolazione che vi risiede e della destinazione della zona ove sono situati gli immobili (Cassazione n. 3438/2010; C. 2166/2006; Cass. 5697/2001; Cass.
3917/1992; Cass. 8271/1990).
La normale tollerabilità pur essendo un criterio oggettivo non è mai assoluta e va rapportata alla sensibilità di un uomo medio e alla specifica situazione ambientale (c.d. criterio comparativo) ( C. 17051/2011; C. 8271/1990; P. Roma 13.7.1987).
La giurisprudenza ritiene per lo più che alle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti non è applicabile la Legge 26.10.1995, n. 447 sull’inquinamento acustico, che non concerne i rapporti tra privati bensì i rapporti verticali fra privati e la P.A. ed i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete (Cass. 1151/2003; Cass. 6223/2002; Cass. 4963/2001; T. Milano 28.3.2002).
D’altra parte gli standards massimi di tollerabilità, contenuti nelle leggi ambientali o nei regolamenti comunali forniscono inevitabilmente un punto di riferimento al giudice civile, anche se il loro mancato superamento non comporta sempre un giudizio positivo sulle immissioni subite.
A questo scopo, quindi, è certamente utile effettuare delle misurazioni sonore per determinare l’intensità delle immissioni di rumore. In questi casi si fa riferimento al differenziale esistente tra la rumorosità di fondo della zona (intesa come complesso di suoni di origine varia, continui e caratteristici della zona) e intensità massima del rumore prodotto dalla fonte sonora oggetto di verifica.
In genere è sufficiente dimostrare che i rumori del vicino abbiano superato di 3 dB o di 5 dB il rumore di fondo, a seconda che le immissioni si verifichino in ore notturne o diurne, perché l’immissione di rumore possa essere considerata illecita. Si consideri che un incremento di 3 decibels nell’intensità sonora comporta un raddoppio
della stessa e si ammette comunemente che, col raddoppio, il fastidio che può dare l’emissione sonora si tramuti in vera e propria sofferenza.
In questo senso è del resto facilmente intuibile che l’inquinamento acustico rappresenta una grave minaccia anche e soprattutto per il bene salute tutelato dall’art. 32 della Costituzione nell’accezione data dalla Giurisprudenza come
“benessere biologico e psichico dell’uomo”; l’inquinamento acustico, infatti, è un fenomeno particolarmente insidioso e pericoloso per la particolare natura del rumore, destinato a diffondersi ben oltre i confini spaziali del luogo di emissione, nonché per l’impossibilità dell’uomo di bloccare la funzione uditiva (a differenza degli altri organi sensoriali), finanche durante il sonno, allorquando entra in azione il sistema di vigilanza neurovegetativo che
reagisce allo stimolo del rumore indipendentemente dalla volontà del soggetto.
Vediamo adesso ad esaminare i possibili rimedi per contrastare le immissioni di rumore. Si possono distinguere
due tipi di azioni:
A) un’azione nei confronti del soggetto responsabile delle immissioni tesa ad impedirne la prosecuzione (c.d. azione inibitoria) e ad ottenere il risarcimento del danno che ne è conseguito, sia sul piano patrimoniale (es. svalutazione dell’immobile) che non patrimoniale (danno alla salute dei soggetti esposti alle immissioni) (c.d. azione risarcitoria);
B) un’azione nei confronti del venditore dell’ immobile soggetto a rumori provenienti da quello del vicino: in questi casi si tratterebbe di fare valere una responsabilità contrattuale inquadrabile nell’art. 1490 c.c.. Secondo questa disposizione il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione (Cass., civ., sez. II, 22 agosto 1998, in Foro it., 1999, 188), secondo cui la rumorosità costituisce quindi un vizio inerente all’immobile compravenduto e, pertanto, di esso deve rispondere il venditore ai sensi dell’art. 1490 c.c. e segg., e ciò anche se la causa della rumorosità sia esterna all’appartamento .
La circostanza che il vizio dell’immobile dipenda da una causa esterna allo stesso non esclude affatto l’azione di garanzia cui è tenuto il venditore ai sensi dell’art. 1490 c.c.: ciò che conta, ai fini della sussistenza di questa garanzia, è che il vizio fosse preesistente alla compravendita ed inerisca comunque alla stessa cosa vendita, essendo suscettibile di diminuire in misura apprezzabile il godimento e, quindi, il valore.
L’obbligazione di garanzia, cui il venditore è tenuto verso il compratore, discende dal fatto, oggettivo, di trasferire un bene affetto da vizi che lo rendono inidoneo all’uso cui esso è destinato o ne diminuiscano in misura apprezzabile il valore, mentre la colpa del venditore (ossia, nel nostro caso, il fatto che quest’ultimo fosse a conoscenza del vizio ma lo abbia nascosto al compratore) rileva solo ai fini del diritto al risarcimento del danno.
La Corte di Cassazione, infine, da conto della diversa opinione sul problema in esame, secondo cui se le immissioni eccedenti la normale tollerabilità siano riferibili alla condotta di un vicino, al compratore non spetterebbe anche la garanzia nei confronti del venditore ma solo l’azione ex art. 844 c.c. contro il vicino, mentre non spetterebbe né l’uno né l’altro rimedio se le immissioni non eccedano la normale tollerabilità.
Per la Cassazione queste perplessità sono superabili sulla base della considerazione che è la preesistenza del vizio rispetto alla conclusione del contratto di vendita a rendere responsabile il venditore, per avere venduto un bene oggettivamente affetto da un determinato vizio, senza che rilevi che tale responsabilità possa coesistere con la concorrente responsabilità, a titolo diverso, del vicino ai sensi dell’art. 844 c.c..
Quanto, poi, al requisito della normale tollerabilità, osserva che esso è specificamente richiesto solo per la proponibilità dell’azione ex art. 844 c.c., perché per l’azione di garanzia è richiesto il diverso requisito dell’inidoneità del bene venduto all’uso cui è destinato ovvero quello della apprezzabile diminuzione del suo valore a causa del vizio.
Chi intende fare valere la garanzia in questione nei confronti del venditore, deve pero prestare attenzione ad un ultimo aspetto: questo tipo di azione è soggetta a precisi termini di decadenza e prescrizione: infatti il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. La denunzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato. L’azione si prescrive, in ogni caso, in 1 anno
dalla consegna (…)” (art. 1495 c.c.).
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