
La nostra Costituzione, all’articolo 30, sancisce il dovere dei genitori – uniti o meno in matrimonio – di mantenere, istruire ed educare i figli, garantendo loro un adeguato sviluppo, sia materiale che morale. Lo stesso principio è ribadito, per le coppie sposate, dall’articolo 147 del codice civile, che ricorda come l’obbligo genitoriale debba essere adempiuto nel rispetto delle capacità, inclinazioni e aspirazioni dei figli.
Anche in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza, la responsabilità verso i figli permane: il loro benessere resta tutelato da una disciplina giuridica precisa, volta a garantire continuità affettiva ed economica. Le norme sul mantenimento si applicano in ogni fase del rapporto genitoriale, a prescindere dallo stato civile della coppia, e prevedono modalità specifiche per la ripartizione degli oneri economici.
I diritti (e i doveri) dei figli
Un punto fermo è rappresentato dall’articolo 315-bis del codice civile, che riconosce ai figli – legittimi o naturali – il diritto di essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro attitudini e aspirazioni. Ogni figlio ha anche diritto a crescere in famiglia, a conservare legami affettivi con i parenti e, se ha compiuto 12 anni (o prima, se capace di discernimento), ad essere ascoltato in tutte le decisioni che lo riguardano.
Accanto a questi diritti, la legge prevede anche dei doveri: il figlio è tenuto a rispettare i genitori e, finché convive con la famiglia, a contribuire al suo mantenimento in base alle proprie capacità, reddito e sostanze.
Mantenimento nella coppia unita
Quando i genitori vivono insieme, l’articolo 316-bis c.c. stabilisce che entrambi sono obbligati a contribuire al mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive capacità economiche e lavorative, riconoscendo espressamente pari dignità anche al lavoro casalingo. Non è quindi più sostenibile affermare che il genitore non percettore di reddito (ad esempio la madre casalinga) non contribuisca al mantenimento dei figli.
La legge tutela i figli anche laddove i genitori non abbiano mezzi sufficienti: in tal caso, l’obbligo si estende agli ascendenti (tipicamente i nonni), che devono fornire le risorse necessarie. Qualora uno dei genitori non adempia ai propri doveri, il presidente del tribunale, su richiesta, può disporre che parte del reddito di quest’ultimo sia versato direttamente all’altro genitore o a chi provvede al mantenimento effettivo del figlio.
Il mantenimento del figlio maggiorenne: i limiti imposti dalla giurisprudenza
Con l’ordinanza n. 17183 del 14 agosto 2020, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha fornito una nuova e significativa interpretazione sull’estensione dell’obbligo di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni conviventi.
La Corte ha precisato che, una volta concluso il percorso formativo scelto – sia esso una laurea, un diploma o un corso professionalizzante – il figlio deve adoperarsi concretamente per rendersi autosufficiente dal punto di vista economico. È richiesta una ricerca attiva e realistica di un’occupazione, anche qualora ciò comporti un ridimensionamento delle proprie aspettative professionali.
In sostanza, l’ordinamento rifiuta l’idea di un mantenimento “illimitato nel tempo”, ritenendo non giustificato un atteggiamento attendista o rinunciatario da parte del figlio maggiorenne. Il principio cardine è quello della autoresponsabilità: il figlio adulto non può pretendere di restare a carico della famiglia d’origine in attesa di opportunità lavorative perfettamente aderenti ai suoi desideri.
Focus: il mantenimento dopo la laurea
La questione del mantenimento post-laurea è particolarmente rilevante e oggetto di frequente contenzioso. La giurisprudenza più recente si è orientata verso un approccio restrittivo, ponendo dei limiti ben precisi.
In particolare, secondo la Corte di Cassazione:
- Il conseguimento della laurea rappresenta, di norma, il termine ultimo entro cui il figlio può legittimamente ricevere il mantenimento, salvo che dimostri di essere oggettivamente impossibilitato a rendersi economicamente autonomo.
- Il figlio laureato non ha diritto al mantenimento se, pur potendo lavorare, non si attiva in modo serio e concreto per trovare un’occupazione, anche al di fuori del settore di studi scelto.
- Non è sufficiente l’iscrizione a corsi post-universitari o a master privi di effettiva utilità nel mercato del lavoro per giustificare la prosecuzione del mantenimento.
In alcuni casi, le corti di merito hanno ritenuto cessato l’obbligo di mantenimento anche prima del conseguimento del titolo, laddove il figlio avesse raggiunto un’età avanzata o avesse dimostrato scarso impegno nella conclusione degli studi.
È quindi fondamentale, nella valutazione della persistenza dell’obbligo, considerare il comportamento concreto del figlio: la sua effettiva volontà di inserirsi nel mondo del lavoro e le ragionevoli prospettive di occupazione.
Conclusioni
L’orientamento giurisprudenziale attuale mira a evitare il protrarsi ingiustificato del mantenimento e a responsabilizzare i figli maggiorenni. I genitori non sono tenuti a garantire un sostegno economico illimitato nel tempo, né a farsi carico di ambizioni personali non accompagnate da uno sforzo concreto e proporzionato per raggiungere l’autonomia.
Per chi si trovi coinvolto in una controversia in materia, è fondamentale valutare attentamente i presupposti giuridici e i comportamenti delle parti, con l’assistenza di un legale esperto in diritto di famiglia.
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