La vittima di mobbing può quindi citare in giudizio il responsabile del comportamento illecito per chiedere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti.
Con il termine mobbing ci si riferisce ad un comportamento del datore di lavoro o dei suoi dipendenti consistente in una serie di atti che hanno lo scopo di perseguitare un dipendente per emarginarlo e, attraverso la lesione della sua dignità umana e professionale, spingerlo a presentare le dimissioni.
Quando il mobbing è realizzato da un superiore viene anche definito “bossing”. Il lavoratore vittima di questo comportamento nel suo complesso illecito può ottenere il risarcimento dei danni.
Caratteristica del mobbing è la continuità delle vessazioni. Se non compare l’elemento della continuità delle azioni vessatorie potremmo essere in presenza di un fenomeno di straining che è una forma attenuata di mobbing, dove non compare la continuità delle vessazioni.
Nel caso in cui sussista una lesione all’integrità psicofisica, allora il lavoratore mobbizzato avrà diritto ad ottenere il risarcimento dai danni.
Le norme che devono essere invocate a tutela del lavoratore vittima di mobbing, oltre all’art 32, 35 della Costituzione (che rispettivamente tutelano la salute come un diritto fondamentale dell’uomo) e l’art. 41 della Costituzione (che vieta lo svolgimento delle attività economiche private che possano arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana) sono:
- l’art. 2043 del codice civile che prevede l’obbligo di risarcimento in capo a chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto con qualunque fatto doloso o colposo e
- l’articolo 2087 del codice civile che impone all’imprenditore di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale di lavoratori,
- le norme sullo Statuto dei lavoratori,
- l’articolo 590 del codice penale se il mobbing è causa di lesioni personali.
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